
di Franca Di Conza
Il Rito: dal mercoledì delle Ceneri al Sabato Santo
Il tempo dell’attesa sempre e da sempre ha avuto un valore quasi magico per l’umanità.
L’attesa contiene in sé un messaggio di speranza, una speranza che si concretizzerà al termine dell’attesa, ma che si traduce spesso, nel tempo in cui l’attesa stessa si consuma, in una sensazione di incertezza, di timore per il realizzarsi di qualcosa di sconosciuto.
Con l’avvento del Cristianesimo, i ritmi dell’attesa sono stati scanditi dagli eventi della vita di Gesù, il tempo dell’uomo coincide con il tempo liturgico. Ed è in questo senso che la fantasia popolare, per esorcizzare l’ansia dell’attesa e per riempire di significato questo tempo, ha inventato degli stratagemmi per “ingannare l’attesa” e la Caremma è uno di questi.
La tradizione della Caremma, infatti, seppure in modi diversi, è diffusa in tutte le popolazioni europee di origine cristiana.
Come sempre avviene, qui, nel Sud Italia, i ritmi sono meno frenetici e questo consente alle belle tradizioni di innestarsi in maniera sempre più prepotente nella storia del popolo.
La tradizione della Caremma è passata di generazione in generazione con modalità differenti.
Vi sono paesi lucani, pugliesi, calabresi, in cui la Caremma è rappresentata da una serie di sette bambole di stoffa che legate a un filo venivano stese da un balcone all’altro proprio per indicare le settimane di quaresima. In alcuni paesi, poi, ogni settimana ne veniva abbattuta una, a segnare lo scorrere del tempo.
In Salento, con nomi diversi, la Caremma, o Curemma, o Quaremma, è rappresentata come un fantoccio con le sembianze di una vecchina in qualche modo legata al carnevale.
Secondo alcune tradizioni è la mamma di Titoru, il Carnevale che tornato dalla guerra il martedì grasso, per liberarsi dagli stenti della guerra e festeggiare il Carnevale ormai agli sgoccioli, avrebbe mangiato e bevuto sino a scoppiare, lasciando la mamma nel dolore.
Secondo altre tradizioni, la Caremma sarebbe la vedova di Paolino, il Carnevale, morto per le gozzoviglie dei tre giorni di festa.
Comunque, con il Mercoledì delle Ceneri, dietro le porte, sospesa sui pali più alti, legata tra i balconi, prende posto la Caremma.
Si tratta di una vecchina, vestita per lo più di nero, con un fazzoletto in testa, uno scialle sulle spalle un grembiule e dei simboli.
In una mano ha un‘arancia in cui vengono inserite sette penne di gallina. L’arancia, attraverso i suoi spicchi, uniti e separati allo stesso tempo, simboleggia l’unione che alcuni riferiscono alla famiglia, altri all’amicizia, altri alla fratellanza; le penne simboleggiano le sette settimane della quaresima e, di conseguenza lo scorrere del tempo, vengono tolte una per settimana per scandire i ritmi dell’attesa della Pasqua.
Nell’altra mano ha un fuso che nel passato simboleggiava la posizione femminile statica dedita a un’occupazione ripetitiva, senza colore, espressione del ruolo della donna angelo del focolare.
A Minervino di Lecce, poi, allo scopo di far rivivere la tradizione, è stato promosso un concorso per decretare la Caremma più bella, la più originale e la più aderente alla tradizione.
Così è restata ferma l’arancia, ma al posto dell’arcolaio i costruttori tendono a personalizzare la Caremma con gli oggetti propri delle occupazioni delle donne e degli uomini di casa. Così è nata Carmelina cu lu minaturu e la farina, costruita dai titolari di una rosticceria, Rata la Caremma acculturata, che stringe tra le mani un libro di poesie del costruttore poeta, la Caremma Venditrice di “cozze piccinne” dall’elicicoltura del costruttore, la Caremma che legge Il Sole 24 ore, direttamente uscita dallo studio di consulente del lavoro della sua costruttrice e così via in un paesino che riempie i quaranta giorni di attesa della Resurrezione con il sorriso di queste vecchine che nella loro novità trasmettono un antico messaggio.